giovedì 17 febbraio 2011

JESI CITTA' ABBANDONATA



JESI CITTA' ABBANDONATA
Nell'anno 847 un rovinoso terremoto colpiva molte città italiane. Anche Jesi non fu risparmiata; anzi, le scosse sismiche furono così violente che la città ne restò quasi completamente distrutta al punto che la popolazione superstite, sotto la protezione del vescovo e dei monaci, fu costretta ad abbandonare la città ed a rifugiarsi nei pressi della località detta di Terravecchia. Col nome di «Terravecchia» — anticamente, anzi, «Terra vetus» o «Terra guasta» — veniva designata quella parte della città attualmente compresa fra Via Mura Occidentali e Via Mura Orientali.
Secondo alcuni, l'abbandono del centro storico non fu determinato da movimenti tellurici, ma dal fatto che i barbari, con ripetute scorrerie, avevano reso inabitabile la città romana; di questo parere è anche lo storico P. Bernardino Rocchi. Secondo altri, l'esodo fu determinato da una delle tante — la più grave, anzi — delle pesti che periodicamente colpivano allora le popolazioni. Fra le tre ipotesi, ci pare di poter considerare come meglio attendibile quella del terremoto. Il quale terremoto, tuttavia, non sarebbe stato quello dell'847, in quanto, stando al Cecon, le violente scosse sismiche che provocarono lo sfollamento della Jesi romana si verificarono verso la fine del IX secolo.
Sembra certo, comunque, che per un lungo periodo di tempo la vita cittadina si svolgesse a qualche centinaio di metri dal pomerio e fece corpo attorno ad una chiesa già esistente nella zona di Terravecchia. Qui sorse la seconda Jesi, piccolo centro di povere case e capanne. Quella chiesa esiste tuttora, anche se col passare dei secoli ha subito delle trasformazioni, allontanandosi dalla primitiva struttura che doveva essere di linee piuttosto modeste o comunque di non eccezionali pretese architettoniche. E' la chiesa di San Nicolò, un tempo dissacrata, poi restaurata e riportata allo splendore originale; allora era intitolata a San Salvatore.
A proposito di questa chiesa (l'edificio sacro più antico esistente tuttora a Jesi), si è molto discusso circa l'antichità della costruzione. Vi è chi vuoi farla risalire agli albori del cristianesimo: un piccolo e modestissimo oratorio del IV secolo, trasformato successivamente in basilica. Per altri, la prima costruzione dovrebbe essere del secolo XI o X. Per altri ancora la costruzione primitiva può essere fatta risalire alI'VIII o IX secolo e senz'altro prima del Mille. I più, tuttavia, sono decisamente per l'esistenza della chiesa di San Salvatore all'epoca in cui la popolazione jesina si trasferì in Terravechia. E la chiesa, che molto probabilmente faceva parte di un monastero, sarebbe divenuta anche cattedrale. Come tale avrebbe funzionato nel IX e nel X secolo, perché il famoso terremoto che aveva devastato Jesi non aveva risparmiato la vecchia cattedrale di San Settimio; quest'ultima, edificata nel IV secolo, versava in precarie condizioni e non aveva retto al cataclisma tellurico, tanto che aveva dovuto essere chiusa al culto.
LE CHIESE PIÙ ANTICHE
A Jesi, all'epoca del terremoto dell'800, oltre alle chiese di San Settimio (ma non è storicamente provato che a quel tempo la cattedrale fosse così intitolata) e di San Salvatore, ve ne erano indubbiamente altre. Di altre tre almeno si hanno notizie, seppure imprecise e frammentarie, per non dire controverse. Merita di soffermarcisi un po'. Cominciando dalla chiesa di San Giorgio, che in seguito sarà dedicata a San Floriano.
La chiesa di San Giorgio prima edizione viene fatta risalire al VII secolo o alla prima metà del 700, epoca in cui venne edificata sull'area dell'attuale chiesa e sulle fondazioni di un tempio romano. «Non è azzardata l'ipotesi — scrisse il Cecon — che la chiesa di San Giorgio fosse opera di maestri longobardi (tecnici abilissimi, dedicati alla costruzione delle chiese e penetrati nell'Italia centrale; la maggior parte dei templi costruiti in quel periodo nel Piceno sono opera loro) con le caratteristiche architettoniche comuni a quel tempo». Sempre a detta del Cecon, la chiesa «doveva presentarsi a tre navate, divisa da pilastri fra loro collegati alla sommità da archi a pieno centro, con absidi in curva e con la travatura del tetto scoperta». Il grave terremoto di cui abbiamo detto provocò notevoli danni a questa chiesa, che tuttavia non venne mai abbandonata. Fin qui la versione di alcuni. Altri studiosi non escludono invece che la chiesa di San Giorgio sia stata edificata per la prima volta proprio negli anni immediatamente successivi al terremoto per volontà di un gruppo di Jesini (una piccola colonia di illirici) che erano rimasti in città nonostante il disastroso movimento sismico.
La chiesa di Santa Maria del Piano (quella che ci appare oggi è quanto rimane di una delle più antiche, vaste e ricche abbazie benedettine della Vallesina) o meglio l'abbazia di Santa Maria del Piano era stata edificata sull'area di un tempio pagano, di Cibele secondo alcuni, di Minerva secondo altri. Esisteva, dunque, nel 900, e superò senza grosse conseguenze la violenza del terremoto.
Infine la chiesa di San Pietro Apostolo. Premesso che non si tratta dell'attuale edificio, anche se il luogo è sempre lo stesso (la chiesa di oggi ha due secoli di vita), diremo che le origini di quell'antico tempio vengono fatte risalire alla fine del 500. A quei tempi Jesi era arroccata in cima al colle, ma alla base dell'acropoli s'era andata formando una piccola borgata che era un po' il centro degli scambi commerciali con i conduttori dei terreni agricoli che si stavano organizzando al di qua dell'Esino, allora ricco di acque. In quella borgata era stata edificata anche una cappella, sul tipo di quelle che erano distribuite un po' ovunque attorno alla città.
Nei primi anni del 700, Jesi era stata sede di un signorotto longobardo (forse un duca?), il quale aveva fatto costruire, proprio nella borgata in questione, una casa per i suoi dipendenti e per la sua servitù, ed aveva fatto anche ampliare la cappella trasformandola in una vera e propria chiesa, dotata di fonte battesimale. Non si sa se prima di allora la cappella fosse dedicata a San Pietro Apostolo; lo fu in ogni caso dopo che venne ampliata dal signorotto longobardo. E divenne in breve tempo una chiesa molto importante: era considerata regia e, per avere il fonte battesimale, ebbe conferito il titolo di pieve.
«Così Jesi allora possedeva una pieve — ha scritto il Cecon, rifacendo la storia di questa chiesa; — una pieve, ossia un diritto giurisdizionale sulle cappelle minori del territorio viciniore. E questa chiesa era certamente provveduta di monastero longobardo, con canonici e chierici, e prendeva anche nome di chiesa matrice; ed i canonici ed i chierichetti conducevano una vita in comune alle dipendenze di un arciprete. Il monastero annesso alla chiesa accoglieva tutto quell'aggruppamento di chierici e di canonici, che vivevano in comune sotto l'egida longobarda prima e carolingia poi, fino al secolo X. Grande doveva essere l'autorità accordata a questo arciprete. Infatti ancor oggi il parroco di San Pietro Apostolo ha il diritto di precedenza nelle funzioni su tutto il clero della diocesi, eccezion fatta per i canonici della cattedrale».
Anche questa chiesa, come quella di Santa Maria del Piano, non ebbe a subire gravi conseguenze dal terremoto dell'800 o comunque i danni subiti non arrecarono conseguenze immediate.

La Storia di Jesi

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