martedì 22 gennaio 2013

L'ARTE DELLA STAMPA

FEDERICO CONTI E IL MANUZI, TIPOGRAFI IN JESI

Nel XV secolo a Jesi era sorta un'importante attività artistico-artigianale, quella dei tipografi, che doveva dare alla città un importante primato nell'arte della stampa: la prima edizione veramente italiana della Divina Commedia. Verso la metà del secolo, in Germania, Giovanni Gutemberg aveva inventato i caratteri mobili di stampa e aperto a Magonza la prima stamperia. Finanziato da due concittadini, aveva pubblicato il primo libro a stampa, la famosa Bibbia latina, detta "Mazarina". Qualche anno dopo, nuova arte fu introdotta da Aldo Manuzio, che aveva aperto a Venezia una tipografia destinata a diventare in breve la più rinomata d'Europa. Il Manuzio era nativo di Staffolo e parente del nostro jesino Manuzi, a sua volta tipografo. Sull'esempio di Magonza e Venezia, Jesi fu una delle prime città italiane ad avere una tipografia, che era stata qui aperta per l'esattezza nel 1470, dal veronese Federico Conti, a cui sono intitolate a Jesi sia una via, sia una scuola elementare. Il 18 Luglio 1472, il Conti finiva di stampare nella sua tipografia jesina l'edizione "Principe" della Divina Commedia di Dante Alighieri. Vero è che cento giorni prima anche a Foligno e Mantova era stato finito di stampare il capolavoro di Dante, ma mentre l'edizione Jesina era opera di un valente tipografo italiano, le altre due edizioni erano uscite dalle mani di due tipografi tedeschi, provenienti proprio da Magonza. Le copie della Divina Commedia stampate a Jesi e giunte fino a noi sono cinque: una è conservata a Vicenza, una a Udine, due a Verona e l'ultima al British Museum di Londra.

Federico Conti visse a Jesi poco più di quattro anni, durante i quali pubblicò, oltre al capolavoro dantesco, due edizioni delle "Costituzioni Egidiane", le "Letture di Baldo da Perugia" e la "Quadrica Spirituale di Niccolò da Osimo". Era stato accolto a Jesi nel migliore dei modi, gli era stata subito conferita la cittadinanza jesina e aveva ricevuto stabili ed emolumenti vistosi per dargli agio di campare la vita nell'opulenza. Ma poi, per traversie familiari e a ltro, finì col dissipare tutto in breve tempo. Ridotto in miseria, fu messo anche in prigione, da dove riuscì a scappare (o lo fecero scappare?), spostandosi da un posto all'altro sempre in piena miseria.
Racconta il Colini: "Lo strazio di quella vita raminga, il dolore di vedersi separato dai suoi figli e il ricordo dei giorni felici trascorsi inaridirono quell'esistenza, che forse ancor fioriva sul verde stelo della virilità, e sullo scorcio del 1477 scendeva nel sepolcro senza il rimpianto della moglie, che poco prima aveva perduto, senza l'ultimo bacio dei figli, che aveva lontani, e senza il cordoglio degli amici."

La storia di Jesi - Leggi l'e-book