sabato 19 febbraio 2011

FRA ROMA, RAVENNA E L'IMPERO




FRA ROMA RAVENNA E L'IMPERO
Mentre gli Jesini si sistemavano alla meno peggio nella zona di Terravecchia, in Italia le cose non procedevano nella invocata tranquillità. Jesi e la Vallesina facevano parte, come si è detto, dello Stato della Chiesa. Ma si trattava, in realtà, di un possesso poco stabile e spesso contrastato. Le terre dell'Esarcato e della Pentapoli, per essere le più lontane da Roma, erano più esposte alle influenze imperiali e di altri popoli vicini.
Anche nell'interno dello Stato Pontificio non regnava la più completa armonia. Ad esempio, i rapporti fra Roma e Ravenna. L'arcivescovo romagnolo, facendosi forte dell'appoggio dell'imperatore francese, considerava gli abitanti dell'Esarcato e della Pentapoli come suoi vassalli, imponeva loro tasse ed usurpava i beni della Chiesa romana. Il Papa, a sua volta, ingiungeva ai vescovi di non sottostare agli arbitrii dell'arcivescovo di Ravenna. Senza dire che gli imperatori francesi succedutisi dopo Carlo Magno non avevano rinunciato al diritto di disporre liberamente delle terre della Chiesa.
A questo proposito, il Natalucci ricorda che «per condannare le ingiustizie commesse dal duca di Camerino, Lodovico (l'imperatore) stabiliva, ad esempio, il suo tribunale fra Jesi e Camerino nei pressi di Ancona» . L'insubordinazione dell'arcivescovo di Ravenna cessò allorché l'imperatore Lodovico gli tolse la sua protezione, costringendolo, di conseguenza, a sottomettersi al Papa ed a limitare le sue attribuzioni.
Nel frattempo il Sacro Romano Impero andava rapidamente disgregandosi; questo perché i successori di Carlo Magno avevano fatto di tutto per mandarlo all'aria. Duchi, conti e marchesi, per rendersi indipendenti, si erano ribellati all'autorità del sovrano, cosicché in breve si erano andati formando in Europa tanti staterelli, centinaia di feudi, quali più piccoli quali più grandi. Quando nell'anno 887 l'impero fondato da Carlo Magno si sfasciò definitivamente, sorsero al suo posto vari regni (di Francia, di Germania, d'Italia, ecc.), a capo dei quali s'erano posti i feudatari più grossi. Il regno d'Italia però non comprendeva tutta la penisola, ma solo la parte settentrionale e la Toscana, cioè a dire i soli territori che erano stati un tempo dei Longobardi e che Carlo Magno aveva annesso al suo impero. Jesi e la Pentapoli rimasero sotto la giurisdizione dello Stato Pontificio.
Il regno d'Italia fu tenuto prima da vari feudatari italiani e stranieri, finché cadde sotto l'autorità del re di Germania, Ottone I, il quale, divenuto imperatore (962), ricostruì il Sacro Romano Impero. Al quale cercò di annettere, manco a dirlo, le terre dell'Esarcato e della Pentapoli. Anche a Jesi quindi giungevano i nuovi «padroni»: continuava il drammatico carosello degli invasori-liberatori e dei liberatori-invasori.
La Chiesa, che non voleva rinunciare alle sue terre, cercò di porre termine, amichevolmente, agli sconfinamenti delle milizie dell'imperatore tedesco. Nella Pasqua del 967 papa Giovanni XIII e l'imperatore Ottone I si incontrarono a Ravenna, ove fu celebrato un solenne concilio; Ottone restituì allora molti beni usurpati alla Chiesa di Roma, tra cui l'Esarcato e la Pentapoli. A quel concilio era presente anche il vescovo jesino Eberardo. Altri vescovi di Jesi avevano partecipato ai precedenti concili: Pietro era intervenuto nel 743 al Concilio Romano sotto il pontificato di Zaccaria; Giovanni nell'826 al Concilio Romano sotto il pontificato di Eugenio II. Nell'853 invece il vescovo jesino Anastasio aveva sottoscritto per procura il Concilio Romano promosso da Leone IV.
Ma quella di Ottone I fu una restituzione di breve durata. Un accordo più impegnativo fra le due parti avvenne durante il breve papato di Silvestro II ( 999-1003 ): con un diploma, emanato probabilmente a Roma e munito di bolla plumbea con l'iscrizione «aurea Roma», l'imperatore Ottone III cedeva alla Chiesa otto contee delle Pentapoli e cioè Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Fossombrone, Cagli, Jesi e Osimo.
RITORNO NELLA JESI ROMANA
A quel tempo la popolazione jesina stava ritornando sull'area dell'acropoli, dove aveva riparato e forse in parte anche ricostruito gli edifici dell'antica città. Il ritorno nell'antica sede sarebbe avvenuto a causa delle invasioni degli Ungari e Saraceni nel 950. Abbandonata la zona di temporaneo esilio e rientrati nella antica città, gli Jesini lasciarono ai soli monaci la custodia della chiesa di San Salvatore, che da qualche decennio era stata intitolata a San Nicolò (nel 950, fra le parrocchie date in beneficio a nove canonici, si ricorda per la prima volta anche la «parrocchia S. Nicolaj»); in questa chiesa avevano trovato sepoltura i resti mortali di alcuni dei primi vescovi jesini — Marciano, Calempioso, Onesto e Pietro — entro un'unica urna sotto l'altar maggiore.

La Storia di Jesi

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