sabato 26 novembre 2016

Il Palazzo della Signoria



IL PALAZZO DELLA SIGNORIA
Domata la sommossa e ritornata la calma, gli Jesini in quello stesso anno potevano mettere mano, con tutta serenità, alla realizzazione di quell'opera che, come è stata definita dal Magaluzzi, «su tutte le altre si eleva nelle Marche per importanza storica ed artistica»: il palazzo del Governo o della Signoria.
Sulla stessa area ove oggi sorge questo edifico, si elevava anticamente il palazzo del Comune o dei Priori, costruito fra il 1220 e il 1230, forse su progetto dell'architetto Giorgio da Como. Di quell'antico edificio (di cui sopravvive solo qualche tratto di fondazione ) non ci è pervenuta alcuna descrizione ; si sa soltanto che era più piccolo del palazzo attuale e non aveva cortile interno. Venne abbattuto a causa di «deficienze statiche», che lo avevano reso inabitabile. La costruzione del nuovo palazzo era stata decisa nel 1484 e l'incarico di farne il disegno era stato affidato a Francesco di Giorgio Martini (1439-1501), il maggiore architetto senese e tra i più grandi del primo Rinascimento.
Pittore e scultore, Francesco di Giorgio Martini si era dedicato ai problemi di urbanistica, di meccanica, di idraulica e di tecnica delle costruzioni. Come ingegnere, era stato chiamato a Milano per «salvare» il Duomo sulla cui stabilità si nutrivano in quel periodo serie preoccupazioni. Si era occupato anche di ingegneria militare (nel 1495 farà brillare con successo la prima mina). Aveva rivelato, insomma, un'ampiezza di vedute, una umanità ed una versatilità che precorrevano Leonardo. Era nell'architettura, tuttavia, che Francesco di Giorgio Martini aveva maggiormente espresso la sua notevole personalità. Per molti anni aveva lavorato ad Urbino al servizio di Federico da Montefeltro e fu appunto durante il suo soggiorno urbinate che egli aveva progettato il Palazzo della Signoria di Jesi.
Una volta ultimato il disegno, questo venne tradotto in un piccolo modello di legno da Domenico di Antonio Indivini, uno dei più abili intagliatori italiani.
Nel 1486, dunque, si pose mano all'opera. Inizialmente i lavori vennero dati in appalto ai maestri Antonio di Vico e Pietro d'Antonio di Castiglione, architetti lombardi; nel 1493 furono «accottimati» ad un maestro Antonio da Carpi; infine nel 1498, ad altri due maestri lombardi: Giacomo di Beltramo e Cristoforo di Martino da Varese. Nel 1498 (ormai l'edificio poteva considerarsi a buon punto) cominciarono i lavori di decorazione: Michele e Alvise da Milano scolpirono il leone rampante, che è sopra la porta principale; essi stessi e Giovanni di Gabriele da Como fecero i conci delle tre porte della seconda facciata e delle finestre a croce, le due cornici che girano intorno a ciascun piano e il cornicione superiore, le quattro targhe col leone ai quattro angoli della fabbrica; opere tutte, specie i conci delle porte, del più puro e finito stile.
«Terminato il lavoro esterno — scrive il Gianandrea — si diede mano all'interno; e qui altri nomi di artisti prestantissimi ci offrono le scritture del tempo! Andrea Contucci da Monte Sansovito fa nel 1519 il disegno dei due portici o logge, di cui l'opera fu condotta dal sopradetto Giovanni da Como e da altri scultori, lavorando tutto il secondo porticato di stile composito, a pietra d'Istria; Pieramore di Bartolomeo, jesino, allievo dell’Indivini, e un Giovanni fiorentino, chiamato modestamente fabro Ugnarlo, intagliano e lavorano di rilievo i soffitti della sala grande, di quella della cancelleria, della camera del podestà e di altre stanze, e costruiscono similmente di rilievo e d'intaglio il coro per la cappella; Pietro Paolo Agabiti da Sassoferrato dipinge e indora nella cappella stessa il tabernacolo della Vergine; il nostro Andrea da solo e insieme coll'Agabiti e con Ottaviano Zuccari affresca la sala dell'udienza e le logge di sopra e di sotto; Lorenzo Lotto è invitato a dipingere la cona della cappella, quantunque, non si sa perché, fosse allogata poi a Pompeo Persiuti da Fano, da cui fu eseguita.
«La torre fu il coronamento dell'opera, essendo stata condotta a perfezione dal 1548 al 1551: architetto maestro Ansovino di Sebastiano da Camerino; e riuscì veramente degna dell'insigne monumento». Di come fosse la torre originaria abbiamo una descrizione di Tommaso Baldassini: «Aveva tre ordini, ciascuno dei quali era torneggiato da una fascia di finissimo marmo; poscia da vaghissimi e spaziosissimi merli, i quali nella parte esterna sostenevano un'artificiosissima ferrata tutta scartocciata e di vaghe ritorte fabbricata, che non solo rendeva 'estrema vaghezza, ma prestava un sicuro comodo per praticarvi. Nel secondo ordine eravi la campana, nel terzo il pubblico orologio, sopra il quale innalzavasi la gran cupola tutta ricoperta di lastre di piombo».
Purtroppo la torre, divenuta ben presto pericolante, nonostante i restauri, crollerà il mercoledì 21 febbraio 1657 alle 4 ora di notte («me presente — scrisse lo stesso Baldassini — con universale dispiacimento»). Dieci anni dopo, con l'intervento della Camera Apostolica che contribuiva con trecento scudi, veniva costruita la torre attuale, goffa e disadorna. E rimase interrotta «per mancanza di fondi». 
Il Palazzo della Signoria, di forma quasi quadrata, si eleva di due piani oltre il terreno. Le mura, compatte, di mattoni a cortina, hanno sobrie eleganti decorazioni tutte in pietra, le quali, grazie al gioco di luci ed ombre, creano un bellissimo effetto pittorico che non turba affatto l'austera semplicità dell'insieme, di un equilibrio incomparabile. Il portale, dallo stile baroccheggiante (fu fatto eseguire nel 1558 dal terzo governatore della città, il bolognese mons. Lodovico Areni) non armonizza con il palazzo, per cui si ritiene che sia stato realizzato senza tener conto di come Francesco di Giorgio Martini lo aveva ideato. Il cortile non è molto vasto; la cisterna che si vede al centro del cortile è una ricostruzione di Giovanni di Gabriele da Como.
II Palazzo della Signoria è il monumento più bello e rappresentativo di Jesi: «la più lieta ed affascinante casa del Comune sorta in suolo umbro nel '400»; così la definì il Venturi.

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