ARRIVANO GLI UMBRI
I Pelasgi, fondatori di Jesi, accudivano pacificamente alle loro cose allorché dai monti sopraggiunsero gli Umbri. Chi erano gli Umbri? Erano un popolo di origine asiatica, appartenenti a tribù di tipo brachicefalo («gente con la testa a forma di pera» per dirla con Montanelli). Queste tribù erano scese in Italia sul finire dell'età del bronzo o forse anche prima. Calate in Italia a più riprese, si erano stabilite inizialmente nella valle del Po e in alcune zone della Romagna; poi si erano spinte più a sud, giungendo fino alle Puglie. L'Umbria antica, quindi, aveva un'estensione di territorio ben maggiore di quella attuale.
Il popolo umbro di tanti secoli fa viene considerato l'iniziatore della civiltà del ferro. Era pertanto già abbastanza evoluto, anche se i propri morti, anziché seppellirli, preferiva cremarli e incenerirli. Queste tribù di provenienza asiatica influirono profondamente anche sull'evoluzione dei precedenti linguaggi dei popoli europei, dando luogo alla famiglia delle cosiddette lingue indo-europee.
Gli Umbri, dunque, nella loro calata dal Nord, arrivarono un bel giorno anche dalle nostre parti. Inizialmente i loro rapporti con i Pelasgi furono rapporti di buon vicinato. Entrambi i popoli si erano distribuiti tacitamente le zone da abitare ed ognuno tirava avanti per proprio conto. Ma non tardarono a scendere sul piede di guerra e fu quando i Pelasgi, con mire espansionistiche e non conoscendo la forza dei loro vicini, assalirono e depredarono alcuni villaggi degli Umbri. Questi ultimi, potenti e valorosi, reagirono con estrema decisione; affrontarono apertamente i Pelasgi e inflissero loro una dura sconfitta. Con la disfatta dei Pelasgi, anche Jesi passò sotto il dominio degli Umbri, i quali avrebbero poi fabbricato sul territorio che era stato dei loro avversari — l'affermazione è di Tommaso Baldassini — ben trecento città.
La calata degli Umbri, ad ogni modo, non rappresentò un nefasto avvenimento per la popolazione locale. Infatti i nuovi venuti, sebbene facessero pesare per un certo periodo la loro autorità sugli aborigeni, si fusero via via con gli antichi abitatori, più numerosi, dando vita ad una civiltà più progredita, la civiltà del popolo piceno.
LA CIVILTÀ PICENA
Poche ed incerte notizie si hanno circa la lingua, la religione e l'organizzazione politica del popolo piceno, che dominava la parte meridionale dell'attuale regione marchigiana (più una parte degli Abruzzi) con Ascoli per capitale. E' certo però che la civiltà picena conferì alla nostra regione una fisionomia caratteristica ed omogenea, nettamente distinta da tutte le altre stirpi della penisola. Fu, quello piceno, un popolo che per quasi settecento anni diede prova di feconda vitalità.
Gli antichi Piceni erano particolarmente dediti alla vita domestica. Nel periodo più arcaico dell'età del ferro non ebbero città murate: le abitazioni erano in forma di capanne ovali, costruite di terra e di vimini, e sorgevano quasi sempre nelle immediate vicinanze delle rispettive necropoli. Un popolo, quello piceno, non ambizioso di espansione, rifuggente dalle novità, tradizionale e tenacemente conservatore delle sue vecchie usanze. La donna dell'età del ferro, anche se paga il suo tributo all'innato senso di vanità, non si mostra meno energica e gagliarda dell'uomo; i suoi ornamenti hanno qualche cosa di massiccio e di ingombrante: l'acconciatura del capo è frastagliata di lunghe e appariscenti corone di ambra e di globetti; collane madornali, pendagli ornati di una selva di catenelle e di altri voluminosi ninnoli le ricoprono il petto;
armille e anelli di varie dimensioni fanno mostra in tutte le parti del corpo. Smisurate fibule e amuleti in forma di idoli o di strumenti magici arricchiscono il suo già complesso repertorio di bellezza. Essa talora compete con l'uomo anche nell'uso delle armi.
Industrie caratteristiche dei Piceni dovettero essere quelle delle armi da guerra, che erano allenati ad usare per legittima difesa, sia contro i loro simili che contro le belve: spade, lance, elmi, corazze e scudi, con i quali poi, alla loro morte, venivano seppelliti. Gli antichi Piceni costruivano anche, naturalmente, gli utensili occorrenti per la vita di tutti i giorni, mentre gli oggetti di lusso dovevano essere generalmente importati. Ma in alcune epoche dovette fiorire anche un'arte locale, ingenua e semplice, pur priva di forza e di originalità. Numerose nei vari centri le fabbriche di vasi di ceramica e di bronzo. Molto sviluppo ebbe l'agricoltura, mentre meno sentita era la passione per la caccia e la navigazione.
Popolo piceno, civiltà picena. Che significa «piceno»? Per la maggior parte degli studiosi, la spiegazione, seppure accompagnata da qualche riserva, da dare a questa parola è una sola: piceno deriverebbe dalla parola «pico» o «pellicano» o ancora «picchio verde» (Picus Martius), uccello sacro a Marte che avrebbe guidato una tribù di Sabini nella marcia che li portò dalla loro Sabina ad occupare le terre della bassa Marca. Certuni invece ritengono che il nome «piceno» derivi da «picea», che nei dialetti italici avrebbe il significato di «ambra», la resina fossile, abbondante nel nostro territorio, di cui anticamente le popolazioni di qui si servivano per creare monili e collane, oggetti questi che, in diversi esemplari, sono stati rinvenuti anche di recente nelle antiche necropoli picene. Tale versione ci sembra la più attendibile, se si considera che la venuta nell'ascolano dei Sabini guidati dal sacro uccello ebbe luogo quando già esisteva il popolo piceno.
La penetrazione dei Sabini nel Piceno avvenne infatti verso il IV secolo avanti Cristo. Questa giovane tribù non ebbe eccessive difficoltà a sopraffare i Piceni, colti probabilmente in periodo di decadenza, poco dopo, in Ancona sbarcavano i Siracusani di Dionisio il Vecchio, mentre da Nord calavano i Galli Senoni, i quali, giunti al nostro fiume, stabilivano qui il confine Sud del loro territorio (il fiume Rubicone segnava il confine a Nord. Jesi, conquistata dai Galli, diveniva la loro roccaforte avanzata. Correva l'anno 391 avanti Cristo.
I TERRIBILI GALLI
II Gallo era robusto e aitante di sua persona; dall'epidermide bianca, occhi cerulei, capelli biondi o castani, che procurava tingere di rosso vivo o con acqua e calce, o coll'ungerli di una pomata caustica di sego e ceneri. Li portava in tutta la lunghezza, or ondeggianti sulle spalle, or raccolti al cocuzzolo. Il popolo si lasciava crescere la barba, i nobili si radevano il viso, eccetto il labbro superiore, ove tenevano folti mustacchi. Vestiti comuni a tutte le tribù erano le brache; camicie con le maniche di stoffa rigata che dava a mezzo le cose, e sai o casacche rigate come le camicie , o a fiori, dischi, figure d’ogni specie. Il popolo più basso si accontentava di una pelle di fiera o di montone o di una specie di sargia di lana grossa.
Questi erano i Galli Senoni, la cui ferocia era davvero incredibile. Quando uccidevano un nemico, gli tagliavano la testa e l'attaccavano alla criniera del cavallo per inchiodarla alla prima occasione sulla porta di una casa. Insomma, era gente tutt'altro che raccomandabile. Al loro sopraggiungere, l'antica civiltà umbra ed etrusca, che aveva avviato l'Italia verso un fiorente progresso, scomparve nel breve volgere di pochi decenni. I campi che erano coltivati tornavano a riempirsi di boschi e alle splendide città etrusche successero capanne di barbara gente, che viveva di prede e di stragi e pareva nata a distruzione del genere umano.
I Galli Senoni, dopo essersi stabiliti a Nord dell'Esino, non lasciarono passare molto tempo per operare qualche sortita al di là del fiume, avanzando verso Montefortino, Osimo e Filottrano. In Ancona, Dionisio il tiranno, per evitare soprese da parte degli invasori, strinse una specie di accordo con i Galli. In seguito però i Siracusani di Ancona avrebbero rotto tale alleanza, entrando a far parte di una grande confederazione di cui facevano parte molte città del Piceno per la comune difesa contro i Galli invasori.
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