domenica 23 gennaio 2011

I PRIMI JESINI ERANO GRECI


I PRIMI JESINI ERANO GRECI

I primi segni della vita umana nella nostra regione risalgono a circa cinquemila anni fa, cioè all'età della pietra o, per dirla con i geologi, al periodo neolitico. A questo periodo, infatti, appartengono oggetti di pietra rinvenuti presso Fano, Senigallia ed anche nel territorio della nostra città. Siamo agli albori della vita umana. I nostri lontanissimi antenati sono selvaggi, primitivi, lottano con le belve per sopravvivere;

si dedicano alla pastorizia, alla caccia e alla pesca. Quindi inventano i metalli, abbandonano le caverne, costruiscono capanne, le famiglie si raccolgono in villaggi, talvolta anche a regime matriarcale. Inizia, insomma, la vita sociale ed organizzata.
Nella nostra regione le donne, fin da allora, si preoccu¬pano di essere alla moda. Il loro abbigliamento è intensamente corredato di bracciali, pendagli, ninnoli e vistose collane. Gli uomini, che hanno imparato presto a costruire ed usare le armi, dedicano buona parte del loro tempo ad istruirsi per la lotta, non solo per difendersi dalle belve, ma, purtroppo, anche per offendere altri uomini che impareranno a distinguere come nemici. E' accertato, infatti, che nella nostra regione già le più antiche popolazioni manifestavano indole ed abitudini guerriere, attendendo di preferenza a lavorare coltelli, spade e picche con la pietra e con il bromo.
Nei villaggi la superstizione, nata con l'uomo, si traduce presto nell'adorazione degli idoli. E profonda è la devozione per i morti, che erano inumati con gran cura e generalmente in posizione contratta, rannicchiati e seduti, con accanto gli oggetti che erano già serviti al defunto: armi, in modo particolare, se questi era uomo; ingredienti da toeletta se era donna.

L'ARRIVO DEI PELASGI

Stando agli antichi scrittori, il primo popolo che abitò l'Italia (o comunque uno dei primissimi) fu quello dei Liguri. Nella nostra regione sarebbero giunti per primi i Liburni, una specie di ramificazione dei Liguri, sparsisi gradatamente per tutta la penisola. Poi vi furono diverse immi¬grazioni, tra cui quella — tremila anni fa circa — dei Pelasgi di re Esio.
Secondo Tommaso Baldassini, i Pelasgi col loro valore avevano soggiogato non solo tutto l'oriente, ma, introdottisi nell' Europa occidentale, l'avevano conquistata, portando in queste parti l'uso delle lettere. Qui, finché vissero in pace, godettero di una grande tranquillità, possedettero molte ricchezze, acquistarono molte regioni ed edificarono molte città. E racconta poi come uno dei re pelasgi — Esio, appunto — il quale, riconoscendo queste nostre parti e ritrovandole per il mare poco distante comode per il commercio, per l'abbondanza di ogni commestibile, per la molteplicità delle buone acque, per la popolazione, presso questo fiume fermò il piede e stabilì la sua sede, denominando la città ed il fiume dal proprio nome. Il Grizio non esclude invece l'ipotesi che la nostra città sia stata chiamata Jesi dalla voce greca «esios», la quale, nella nostra lingua, vuoi dire «fortunato».
A quei tempi il fiume Esino, per il tratto che corre all'altezza della nostra città, non scorreva sul letto attuale, ma più a ridosso del promontorio ove aveva sede l'antica Jesi (allora chiamata Esio). La quale, secondo certa tradizione, era ubicata ai piedi del promontorio, pressappoco ove è oggi la chiesa di Santa Maria del Piano. Solo dopo le prime devastazioni barbariche, i suoi abitanti decisero di trasferirsi sulla area che ospita l'attuale nucleo storico della città, evidentemente perché quest'ultima posizione offriva maggiori possibilità di difesa.
Tornando ai Pelasgi ed al loro mitico condottiero, Tommaso Baldassini arriva a riferire, per sentito dire e per deduzione, che presso Jesi, e precisamente nella contrada oggi detta Gangalia, vi era un bellissimo bosco d'altissime querele (l'albero della quercia era dedicato a Giove) che occupava oltre duecento jugeri di terra. Era, quello, il bosco sacro ove re Esio si sarebbe recato periodicamente per i suoi superstiziosi sacrifici.
E giacché siamo in tema di fantasticherie, non ce ne voglia il lettore se, a puro titolo di curiosità, aggiungeremo che sulle origini di re Esio circolava nei tempi andati un'altra versione, respinta, per nostra fortuna, anche dalla leggenda. Tale versione venne riferita, pare attorno al 1300, da un certo Angelo Bernardi, autore di una storia di Jesi che il Gianandrea non esitò a definire «insulsa e sconnessa». A detta del Bernardi, re Esio era un capitano dei Galli conquistatori della nostra città. L'ameno scrittore aveva costruito attorno a questo personaggio addirittura un albero genealogico. Il suo re Esio, nato dal matrimonio di Esia ed Astolfo, di origine gallica, sarebbe convolato a nozze con Bellaflora Gabbani, dalla quale aveva avuto un figlio chiamato Galvo. Quando sopraggiunsero le legioni romane per liberare Jesi dai Galli invasori, re Esio, per evitare la cattura, aveva cercato di rifugiarsi nella boscaglia al di là del fiume, ma nella traversata, travolto dalle acque, era miseramente annegato. Il suo corpo aveva avuto onorata sepoltura nella più alta ripa bianca, dove più tardi i figli dello stesso re fecero costruire una piramide della quale poi si servirono come guardia del fiume.
Per quanto le teorie degli studiosi circa le origini del popolo pelasgico siano controverse, resta il fatto comunque che esso è veramente esistito. Secondo gli storici più accreditati, sarebbe giunto in Italia direttamente dalla Grecia. Proprio ai Pelasgi, anzi, dovrebbero essere attribuite le prime opere di colonizzazione ellenica nella nostra penisola. Vale la pena di riportare, a questo punto, i versi di Silvio Italico, divenuti famosi:
Ante, ut fama docet, terra possesso Pelasgis
Queis Aesis regnator erat, fluvioque reliquit
Nomen, et a sese populos tum dixit Asylos.
(Prima, come la storia insegna, la terra fu possesso dei Pelasgi
Colui che fu il sovrano di Aesis diede nome al fiume
Ed alle stesse popolazioni alle quali, a quel tempo, diede asilo)

SCHEDA ANAGRAFICA

Si è detto che la fondazione di Jesi risale a circa tremila anni fa e tale collocazione nel tempo, nonostante l’assoluta mancanza di prove che lo confermino, deve ritenersi sufficientemente approssimativa. Nel passato, comunque, qualcuno volle essere più preciso:
«Jesi — scrisse — è stata edificata quindici anni prima di Roma, nel secondo anno della terza Olimpiade». Senonché quel «qualcuno», qualificatosi come Gabinio Leto, autore di un'opera tanto famosa quanto discussa, il «De Condita Italia», è risultato essere in seguito un famoso falsario di codici e documenti antichi, il medico Alfonso Ceccarelli di Bevagna, vissuto nel 1500.
Accantonata frettolosamente l'affermazione del medico bevagnese, abbiamo però subito la deposizione di un altro studioso, il Lucidi, che, almeno in questo, da ragione a Gabinio Leto. Dice Tommaso Baldassini che, secondo il computo del Lucidi, essendo le Olimpiadi incominciate avanti la Passione di Gesù Cristo anni ottocento e mesi sei, l'edificazione di questa città seguì dopo gli anni della creazione del mondo 3.195. Avanti la venuta del Redentore 766. Prima della fondazione di Roma anni 14. Dell'incendio di Troia anni 411, regnando presso gli ebrei Jonatah e presso i latini Amulio. E, secondo il computo che si deduce dal Tirino — altro testimone chia¬mato in causa dal Baldassini — negli anni del mondo 3.237, nell'anno dodicesimo di Ozia, re di Giudea, e nell'anno 26° di Geroboamo, secondo re d'Israele. Ed in un opuscolo antico, di Fedele Honofrio — ultimo teste citato dallo storico jesino — così si dice: Jesi, città nobilissima, fu edificata avanti la natività di Cristo circa anni 767.
A sanzionare tali notizie sull'anno di fondazione della città di Jesi vennero in seguito le parole di un pontefice, papa Innocenzo III, il quale, quasi a voler porre termine a qualsiasi disputa in proposito, ebbe così a scrivere in un breve indirizzato al Capitolo jesino:
«Quod cum Civitas Aesina ad Aesio Rege quindecim annis ante Urbem conditam extructam...».
Paolo Castelli, vissuto nel 1700 ed espertissimo in fatto di cose astrali, stabilì, dopo pazienti e meticolosi studi, la posizione di Jesi da un punto di vista quanto meno insolito:
«Le stelle verticali a questa città sono la fissa australe nel piede sinistro posteriore dell'Orsa Maggiore di quarta grandezza della Natura di Marte. La fissa dell'anca dell'ala sinistra della Gallina, di terza grandezza della Natura di Venere e Mercurio. E' posta nel primo circolo del sesto Firmamento. Ha di altezza di polo gradi 43, minuti 40 circa, è soggetta a Marte e Venere». Che si vuole di più?

La Storia di Jesi

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