LA CHIESA DELLE GRAZIE
Ogni tanto, comunque, anche se costrettivi da
situazioni contingenti, Jesini e Anconetani erano capaci di concedersi qualche
periodo di tregua. Il 28 ottobre del 1454, ad esempio, una solenne composizione
tra le due città, massime pei negozi del passo e dell'acqua, era stipulata
tra le due città rivali; la tregua era sancita da capitoli, che si facevano
per anni venti. Praticamente, in quel periodo Jesini e Anconetani erano
stati costretti a mettere da parte ogni rancore per il sopraggiungere di una
brutta calamità che non avrebbe risparmiato la regione. Si diffuse, infatti, e
infierì crudelmente la peste marrana, la quale serpeggiò, con brevi intervalli,
per tutta l'Italia dal 1450 al 1457. A Jesi si manifestò verso la fine del '54
e durò fino al '56. La peste assalì con tanto impeto la nostra città che non
bastavano i deputati a seppellire i morti e a governare gli ammalati, i
quali erano così numerosi che, sebbene non campavano più di due giorni,
nella sola nostra città se ne contavano fino a tre o quattrocento al giorno. Invano si cercarono rimedi per debellare il grave
morbo. Alla fine il popolo ricorse all'aiuto di Dio e fece voto di edificare
una chiesa in onore della Madonna. Le invocazioni degli Jesini vennero
esaudite, perché di lì a poco tempo la peste cessò. I superstiti, allora, per
tener fede alla promessa fatta, si diedero subito da fare per costruire la
chiesa, che venne edificata fuori delle mura, in contrada Terravecchia (ove è oggi
la chiesa delle Grazie). Narra il Grizio: «Dicesi che la detta chiesa, aiutando
gli uomini e le donne, le fanciulle e i fanciulli a portare la pietra, l'acqua
e la calcina, fu fabbricata in un giorno».
La
chiesa (in realtà era una chiesetta) venne intitolata a Santa Maria Egiziaca,
«Nome veramente esotico — scrive il carmelitano C. M. Catena — che può avere la
sua spiegazione sia in un presunto tipo orientale della pittura, sia anche come
un'eco di quella diceria che in quei tempi girava attorno ai carmelitani (la
loro S. Maria non sarebbe stata la Madre di Dio, bensì la penitente S.
Maria Egiziaca; diceria sfatata dal Mantovano nella sua Apologia del
1513)». Nella chiesetta venne sistemata una immagine della Madonna, vecchia
almeno di cento anni, che si trovava sul muro esterno di un casolare fuori
porta, nella stessa contrada di Terravecchia, e che si vuole opera di un
pittore bolognese, certo Lippo di Dalmazio. Questa chiesa avrà il titolo di
Santa Maria delle Grazie solo nel 1565.
Eretta la chiesa, il Consiglio generale chiamò ad
officiarla un certo Andrea da Matelica (lo stesso Consiglio nel 1486, con
delibera votata all'unanimità, accoglierà la richiesta dei Carmelitani di
prendere ufficialmente possesso della chiesa stessa). Nel 1466 nell'interno di
quel tempio venne posta una bellissima opera pittorica — attribuita dai più ad
Antonio da Fabriano — raffigurante la Madonna con ai piedi un gran numero di
fedeli. Molto probabilmente essa sostituì quella che, secondo la tradizione,
era stata dipinta da Lippo di Dalmazio. L'autore del nuovo affresco si è
raffigurato, in atteggiamento ispirato, in prima fila, a sinistra di chi
guarda, tra la folla dei fedeli.
«L'affresco
— scrisse il Benigni — ha evidenti caratteri quattrocenteschi e, precisamente,
caratteri della scuola del Gentile, che richiamano influssi senesi e
fiorentini, quali si riscontrano nell'arte del grande fabrianese: il senso
tutto affatto musicale del colore, lo squisito senso decorativo, il preziosismo
dei broccati e degli ori, nonché le ricerche naturali etiche tendenti ad
individuare volti ed atteggiamenti. L'aspetto ieratico della Vergine, che
estende il suo manto di materna protezione su tutti i figli suoi, e le sue
stesse proporzioni super-umane stanno come ad esaltare la potenza spirituale di
lei, cui splende in grembo il Figlio di Dio».
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