IN GUERRA CONTRO ANCONA
Alla peste subentrò nella nostra città,
inevitabilmente, una grandissima carestia. Per venire incontro alle precarie
condizioni degli Jesini, Pio II, l'11 settembre del 1458, confermava loro
tutti i privilegi avuti dai precedenti pontefici; successivamente, il 29
agosto del 1460, vendeva loro tutti i beni che erano appartenuti alla Camera
apostolica nella Curia del castello di Morro.
Pio II, succeduto a Callisto III nel
1458, era il celebre Enea Piccolomini, una delle figure più insigni di
umanista e di mecenate del XV secolo. Egli ebbe non poche preoccupazioni a
causa degli Anconetani e fu costretto ad interessarsi più volte delle dispute
fra Jesini e Dorici. I quali erano appena usciti dalla più terribile delle
epidemie che già avevano ripreso la guerriglia.
Gli Jesini, nonostante gli accordi
conclusi qualche anno prima, avevano occupato presso il Castello di Camerata
alcune terre che il Comune di Ancona aveva donato ad Astorgio Scotivoli,
valoroso uomo d'armi al servizio dì Francesco Sforza, ed interdissero agli
uomini di Ancona di far le semine, intraprendendo una grossa scorreria per il
contado. Gli Anconetani, che anelavano dal desiderio di vendicarsi della
rotta subita ad opera dei Nostri nel 1309, si rivolsero allora a Sigismondo
Malatesta il giovane, per combattere gli Jesini. Sigismondo in un primo momento
inviò il figlio Roberto, che prese a scorrazzare per il territorio di Jesi.
I Nostri, informati che il Malatesta si
era schierato dalla parte degli Anconetani, ne ebbero gran dolore, in
quanto, essendo ancora la città, per la peste passata, vuota d'uomini, temevano
un insuccesso. Il magistrato pose alla guardia di ciascuna porta della città
cinquanta balestrieri e studiò il da farsi per tenere testa al nemico anche
nel territorio del Contado. Allo scopo, spedì Fiorano Santoni, con duecento
villani fatti nelle ville nostre, alla guardia di S. Marcello e Belvedere.
Roberto Malatesta, che a sua volta era venuto a conoscenza del piano difensivo
dei Nostri, puntò verso Musciano (Monsano) e Barbara, deciso a conquistare
questi due castelli.
Monsano dipendeva direttamente da Jesi.
Barbara aveva fatto parte dei possedimenti del nostro Comune fin dal 1257, ma
in seguito aveva riscattato la propria indipendenza ed ora era semplicemente un
alleato di Jesi. I Monsanesi, non appena videro comparire l'avanguardia del
nemico, si arresero. Gli uomini di Barbara, invece, opposero una tenace
resistenza. E poiché gli assedianti disponevano di due pezzi di artiglieria con
i quali avevano preso a far fuoco per aprire una breccia nelle mura del
castello, costruirono a tempo di record, all'interno delle stesse mura, munite
trincee dietro le quali i difensori avrebbero potuto trovare riparo per
continuare la resistenza, una volta cadute le mura.
Visti gli sviluppi della situazione, a
Jesi si iniziò il reclutamento di uomini per inviare aiuti ai Barbaresi e per
riconquistare Monsano, procurato nel frattanto di raffrenare l’armi dei
nemici, i quali, essendosi insuperbiti per aver avuto senza sangue il detto
castello, ogni giorno facevano scorrerie per il territorio nostro e andavano
giungendo a volte fin quasi presso le mura della città. Inoltre, con
promesse e con doni, cercavano di corrompere gli altri castelli del Contado
jesino. Pare anzi che San Marcello fosse sul punto di vendersi al nemico, ma i
Nostri intervennero con estrema decisione e minacciarono pesanti rappresaglie
contro gli abitanti di quel castello; i quali, per farsi perdonare il tentato
tradimento, dovettero accettare le condizioni poste dai Nostri e cioè il
pagamento di 450 fiorini d'oro e l'obbligo di venire ad abitare a Jesi.
Intanto si era verificato un fatto nuovo che, nella
guerra contro gli Anconetani, doveva avere ripercussioni favorevoli per noi:
Sigismondo Malatesta, contro la volontà del papa, invece di portare aiuto ad
Ancona (che lo aveva pagato per questo), occupò Pesaro, Fano e Senigallia (che
appartenevano alla Chiesa), suscitando le ire di Pio II anche contro Ancona.
Cosicché il pontefice inviò in soccorso degli Jesini il bolognese Virgilio
Malvezzi al comando di duecento fanti e ottocento cavalieri. A questi si
aggiunsero gli uomini che erano stati reclutati nel nostro territorio. Per Jesi
era il momento di iniziare la controffensiva.
I
Nostri posero ai passi quattrocento uomini e spedirono il Malvezzi, alla
testa di duemila fanti, verso Monsano per riconquistarlo. L'occupazione di
quest'ultimo, tuttavia, avvenne senza colpo ferire; Guidone da Urbino, Battista
Ambroselli da Verona e Giovanni da Cesena, che presidiavano quel castello per
conto del Malatesta, consegnarono le chiavi del paese al Magistrato jesino, il
quale, recatosi a Monsano, aprì personalmente le porte del castello, le
serrò in segno di legittimo possesso e fece porre alla sommità della torre
la bandiera del Comune di Jesi, nella quale vedevasi in campo rosso, di
seta, effigiato un leone bianco con corona d'oro in testa. Suonarono subito
per allegrezza tutte le campane del luogo e tutto il popolo gridò ad alta voce:
«Viva nostro Signore, la Santa Chiesa romana e la Comunità di Jesi!». Il
magistrato consegnò poi le chiavi a Tommaso di Fiorano, sindaco del Comune, il
quale con una comitiva di giovani nobili andò nel castello e al Comune di quello
consegnò le dette chiavi, acciocché le custodisse.
Il magistrato ordinò infine che fossero demolite le
mura del castello, a spese degli stessi abitanti di Monsano, e che nessuno
potesse uscire dalla terra fino a che tale ordine non fosse stato eseguito.
Al che i Monsanesi, per evitare che venisse messo in atto il provvedimento,
inviarono ambasciatori al magistrato di Jesi per chiedere perdono del loro
tradimento (si erano arresi al Malatesta, come si è visto, senza combattere).
Il magistrato, con licenza del Consiglio generale, li perdonò a
condizione che pagassero quattrocento fiorini d'oro e che i principali
del castello venissero ad abitare a Jesi.
I «CAPPELLETTI»
Nel
periodo in cui gli sforzi dell'esercito jesino erano concentrati nella riconquista
di Monsano, gli alleati di Barbara avevano continuato la loro coraggiosa
resistenza, ma ormai erano allo stremo. Ripetute volte avevano mandato a
chiedere rinforzi e vettovaglie agli Jesini, ma i Nostri, impegnati sull'altro
fronte, non erano stati in grado di portare un valido determinante aiuto agli
assediati. Questi ultimi, allora, per obbligare gli Jesini ad intervenire a
loro favore in maniera concreta, sottomisero la terra, le famiglie ed i
figliuoli loro sotto la giurisdizione di questa città di Jesi e domandarono
come sudditi di nuovo il già domandato aiuto; in altre parole, i Barbaresi
da alleati divennero sudditi di Jesi, certi che i Nostri, desiderosi di
difendere le cose loro, avrebbero fatto tutto il possibile per liberare gli
assediati.
I Barbaresi
avevano visto giusto. Infatti gli Jesini armarono sollecitamente duecento «cappelletti»
con l'incarico di portarsi al più presto a Barbara. I «cappelletti» — così
chiamati per via di certi cappelli aguzzi con cui erano soliti ricoprirsi —
erano giunti in Italia dall'Albania poco dopo la peste per sfuggire al dominio
dei Turchi e, nella nostra zona, si erano stabiliti in campagna, per lo più
nelle parti del fiume (pare che vivessero quasi come banditi). Oltre ai «cappelletti»,
gli Jesini comandarono che tutti gli artefici atti a portar armi dovessero
andare in soccorso della Barbara e che ciascuno portasse vettovaglia per vivere
per due giorni.
Ma
proprio in quei giorni il Malatesta decideva di togliere l'assedio a Barbara. I
Nostri, informati dell'itinerario che avrebbero percorso i malatestiani,
pensarono di tendere loro un'imboscata, che però fallì per il tradimento di una
spia degli Anconetani.
Sigismondo
Malatesta il 2 luglio del 1461 affrontava in campo aperto, nei pressi di
Castelleone di Suasa, le truppe pontificie comandate dal Malvezzi e da Pier
Paolo de' Nardini, infliggendo loro una pesante sconfitta, tanto che gli
Jesini, sorpresi per i successi ottenuti dal Malatesta, il 12 luglio di
quell'anno mandarono quelle genti già assoldate dal Malvezzi e rimaste
sempre in città, a guardia dei castelli di Morro, Belevedere e San Marcello.
Tuttavia, nonostante le misure di emergenza adottate dai Nostri, sul versante
destro dell'Esino l'esercito del Malatesta predò e ruinò una parte del
territorio nostro e spianò alcune sontuose abitazioni fatte nelle colline
vicine dai nostri gentiluomini; sul versante sinistro, invece, i Nostri
sostennero alcuni scontri con gli Anconetani: la sorte ci fu sì favorevole
che, non solo i Nostri restarono superiori nella battaglia ma anche signori del
loro stendardo. Onde si vedevano nelle logge del nostro palazzo, con gran
festa del popolo, le loro insegne in guisa di un trofeo, rovescie; e vi si
scorgevano insieme i padiglioni che l'anno 1309 erano stati tolti pure a loro.
Ai
primi del 1461 era giunto nella Marca il cardinale Alessandro Oliva con
l'incarico, avuto da Pio II, di mettere fine alle lotte fra Jesini e
Anconetani. Il cardinale Oliva, nativo di Sassoferrato, dopo essere stato
generale dell'ordine agostiniano cui apparteneva, aveva ricevuto la porpora
cardinalizia l'anno prima, anche in riconoscimento dell'opera di pacificazione
da lui svolta in Toscana e nell'Umbria.
Già
prima di affidare al cardinale Oliva la missione di mediatore, il pontefice aveva
rivolto inutilmente tutte le sue cure alle annose questioni fra le due città
della Marca nel tentativo di ristabilire la pace e l'armonia; a questo scopo
aveva indirizzato due lettere agli Anconetani ed agli Jesini, rimproverando
ai primi di essersi rivolti per aiuti al Malatesta ed ai secondi di aver osato
compiere scorribande nelle terre degli Anconetani.
Ora, mentre le due città si davano battaglia, il
cardinale Oliva svolgeva con successo la sua opera di pace in Ancona, successo
favorito anche dal contegno del Malatesta che, indisponendo gli Anconetani,
iì rese più arrendevoli e propensi ad accordi. Verso la fine di febbraio,
in un incontro in Osimo tra ambasciatori anconetani e jesini, la pace sembrò
raggiunta.
Ma
non fu che una pace apparente. R. Elia ne addossa la colpa agli Jesini, «rei»
di essersi appellati al papa contro la sentenza dello stesso Oliva. Per
questa ragione Pio II, con Breve dell'11 aprile, ordinava agli Jesini di
astenersi dal danneggiare gli Anconetani e dal fare innovazioni nei territori
di Monsano e di Chiaravalle. Altra intimazione simile faceva il 19 maggio.
LA RESA DEL MALATESTA
Si andò avanti così per altri mesi, finché il papa,
deciso a farla finita con i disordini nelle Marche, stabilì che il primo passo
da fare in questo senso era quello di liquidare per sempre Sigismondo
Malatesta. Gli inviò contro Federico di Urbino, il quale, il 12 agosto del
1462, gli infliggeva una dura sconfitta, tanto da costringerlo a riparare in
Puglia (rientrerà a Rimini l’anno seguente, dopo essersi riconciliato con la
Chiesa). Pio II concentrò poi i suoi sforzi per porre fine alla rivalità fra
Jesini e Anconetani, tutt'altro che riappacificati nonostante gli sforzi del
cardinale Oliva. Infatti, il 17 luglio 1463 gli Anconetani avevano occupato il
castello di Montemarciano, che era stato invece assegnato dal papa agli Jesini
con bolla del 30 aprile 1461 a titolo di compenso per i danni che i Nostri
avevano subito dagli Anconetani.
«II
legato del papa, cardinale di Trani (Nicolò Forteguerri) — scrive il Natalucci
— chiese agli Anconetani la restituzione di Montemarciano e di altri castelli
che tenevano ancora occupati. E poiché la comunità oppose un rifuto, il papa,
indignato, scagliò l'interdetto contro la città e fu dato ordine a Federico di
Urbino di marciare contro Ancona. Sotto la minaccia di un'azione militare, la
comunità inviò il suo ambasciatore al legato per la restituzione di
Montemarciano e per rimettersi, in quanto agli altri castelli, al beneplacito
di Pio II. Il papa, in un Breve del 1463, considerando le stragi, le rapine e
le altre calamità avvenute nel territorio ecclesiastico a causa della guerra,
invitava i cittadini alla pace, che fu conclusa il 12 ottobre del 1463 con la
restituzione da parte di Ancona delle terre occupate. Di Montemarciano Pio II fece
un feudo per il nipote Giacomo Piccolomini e per i suoi discendenti».
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