sabato 26 novembre 2016

La città si espande



LA CITTA' SI ESPANDE

II XV secolo si avviava al tramonto con l'ennesima controversia; questa volta gli Jesini erano in lite con il cardinale di Sant'Angelo ed oggetto della disputa era il castello di Barbara: sebbene quest'ultimo si fosse spontaneamente professato suddito di Jesi, la sua sudditanza veniva ora misconosciuta dall'autorità ecclesiastica. La controversia, iniziatasi nel 1488, si protrasse per più di quattro anni e finì, come al solito, a nostro sfavore. Di che indignati fortemente gli Jesini e non volendo alla sentenza dare esecuzione, furono colpiti d'interdetto.
Altra vertenza i Nostri dovettero sostenerla nel 1495 con Senigallia, ancora a motivo dei lungamente contrastati possessi del Vaccarile e altre Ville.
Intanto nel corso del secolo la nostra città aveva avviato un notevole processo di espansione edilizia. Vero è che la peste del 1456 e quella del 1467 avevano mietuto numerose vittime, ma già la popolazione del pomerio era risultata superiore alle possibilità di ricezione del vecchio perimetro cittadino. D'altra parte le famiglie più illustri ed agiate si andavano costruendo nuovi e più spaziosi palazzi. Il centro storico era ormai sovraffollato, oltre che per il naturale incremento demografico, anche per le continue immigrazioni, che avevano subito una spinta decisiva nel 1450 con l'entrata in vigore dei nuovi Statuti; infatti questi ultimi, che ponevano praticamente fine al vassallaggio, stabilivano che chi voleva entrare a far parte del nostro Comune poteva farlo liberamente con la sua famiglia e fosse considerato libero, cioè non servo di alcuno. Al ripopolamento della città aveva contribuito infine e più recentemente, sia pure in misura relativa, l'arrivo dei Lombardi.
Nel 1476 il Consiglio generale di Jesi aveva deciso di allargare la città nella direzione più naturale e più ovvia, ossia verso Terravecchia, ove cinque secoli prima gli Jesini si erano rifugiati all'epoca del terremoto e dove era stata edificata la chiesetta di S. Maria delle Grazie. Dieci cittadini avevano ricevuto l'incarico di disegnare le strade, dividere le varie aree fabbri­cabili e curare anche la vendita: un appezzamento di terra sulla strada principale era stato quotato 15 bolognini al piede, mentre sulle vie laterali un appezzamento ne costava dieci. Così attorno alla chiesetta delle Grazie cominciarono a sorgere le prime case: non molte, per la verità; anzi occorreranno parecchi decenni e disposizioni piuttosto perentorie prima che in Terravecchia il numero dei fabbricati fosse abbastanza considerevole. Nel 1513, ad esempio, il Comune doveva obbligare ciascun castello del contado a costruirvi una casa a proprie spese entro il termine di sei mesi, e poiché le case ivi sorte erano ancora poche, sempre il Comune, nel 1524, ordinerà ad ogni privato, di città o del contado, di costruire una casa nel borgo di Terravecchia.
Nel XV secolo anche le mura della città avevano subito variazioni notevoli ed erano state opportunamente rafforzate. Se le autorità dell'epoca avevano dovuto affrontare e risolvere il problema ricettivo, quello dell'edilizia militare era motivo di viva preoccupazione per la costante minaccia di guerre e di aggressioni. Nel 1465 — come si è già detto — un tratto delle mura cittadine sul versante Sud-Est era stato spostato più a valle per includere entro la cinta il borgo San Pietro e la preziosa sorgente d'acqua che si trovava in quel borgo. Cinque anni dopo analogo spostamento, sempre verso l'esterno, era stato operato sul versante opposto della città, ove era stata aperta la nuova porta S. Floriano, così come risulta oggi porta Garibaldi.
Nel 1488 l'architetto Baccio Pontelli, su incarico del pontefice, provvedeva a ricostruire la rocca ed il fossato a ponente delle mura cittadine. Nell'occasione, veniva aperta la porta del Montirozzo, che venne chiamata Porta Marina (oggi porta Bersaglieri). La rocca era il baluardo principale a difesa della nostra città. Vi stazionava in permanenza la guardia comunale.
La vecchia rocca era ubicata in quello spazio che è tra il palazzo del Governo fino al principio della discesa verso oriente a tutto quel quartiere di case che sono da piazza Angelo Colocci alla strada stessa chiamata Costa Lombarda. Già per due volte era stata costruita e poi distrutta, sempre in relazione a vicende belliche. Nel 1477, a causa di molti disordini cagionati dai cittadini che vi stazionavano, gli Jesini avevano ottenuto dal papa il permesso di abbatterla. Dopo la sommossa ghibellina del 1486, tuttavia, Innocenzo VIII aveva voluto che fosse ricostruita, e ne aveva affidato appunto l'incarico a Baccio Pontelli.
A questo punto Giovanni Annibaldi nota che, seppure in quel periodo la nostra città fosse senza rocca, non per questo gli Jesini potevano considerarsi alla mercé di qualsiasi aggres­sore. Il loro armamento, infatti, era di primordine, naturalmente in rapporto ai tempi. Di quali armi disponevano gli Jesini verso la fine del XV secolo? Balestre, partigiane, spingarde, mortai, archibugi, corazze, celate ed una buona quantità di nitro e di zolfo. «Quando nel 1486 — riferisce l'Annibaldi — un Lodovico Lozi, commissario del governatore della Marca, chiedeva al nostro Comune 400 pedoni, 100 guastaroli, spingarde, polvere, palle ed altri strumenti bellici ed artiglierie per drizzarle contro Castelleone, i nostri mandarono una bombarda con 24 palle, due spingarde con 65 libbre di piombo in palle, due targoni, 400 verettoni, un barile di polvere, quattro code di spingarda, due paia di ruote da spingarda, una cassa di verettoni ed un sacco».
Nel 1488, dunque, si mise mano alla ricostruzione della rocca, su un punto alquanto più elevato, nell'area cioè che oggi è occupata dal palazzo comunale. Doveva essere un qualcosa di pregevole se a quella costruzione, oggi scomparsa, è sopravvissuto il nome di Roccabella, dato allora ad una via del quartiere.
 CHIESE E CONVENTI
Oltre all'edilizia militare, nel '400 non poco era stato fatto anche nel campo degli edifici sacri. In questo settore, anzi, si erano avute e si avranno, fino ai nostri giorni, le realizzazioni, se non sempre valide sotto il profilo artistico, certo più ricorrenti e numerose. Abbiamo già detto della costruzione della nuova chiesa cattedrale e del santuario di S. Maria delle Grazie. Accenneremo qui ad altre tre fra le maggiori chiese nuove o restaurate nel XV secolo.
CHIESA DI S. MARCO — Nel 1440 i frati minori conventuali avevano abbandonato la chiesa di S. Marco a causa delle cattive condizioni di quel convento; ma non era stato un abbandono definitivo, nel senso che i «minori» continuarono a possederla; infatti, due anni dopo la loro partenza (si erano trasferiti nel convento di S. Floriano, entro le mura), avevano fatto domanda per poterla restaurare con i beni dì San Floriano, cosa che avevano ottenuto dopo dieci anni.
La chiesa di S. Marco, situata sopra un ameno poggio a pochi passi dalla città, è oggi uno dei più antichi e pregevoli monumenti jesini. Il tempio è un notevole esempio di archi­tettura romanica: una costruzione di concezione grandiosa, su una superficie rettangolare di m. 15x41. Allorché vennero eseguiti i lavori di restauro, la facciata fu sopraelevata con l'evidente proposito di conferirle uno slancio maggiore (ancor oggi è ben visibile la linea dell'antica facciata, abbastanza evidente nelle linee di sutura fra il vecchio ed il nuovo muro). Di chiaro stile romanico sono il portale, il rosone (con decorazioni in cotto) ed il cornicione sorretto da archetti intrecciati. La porta che si apre sulla facciata occidentale è composta di marmo statuario, cipollino o grechetto e di breccia veronese; a spalle oblique con quattro colonne sottili a spire ed a trecce uguali tra loro in altezza e diametro, collocate in prospettiva, che sostengono archivolti analoghi e paralleli a quelli dei pilastrini. Nel bellissimo portale, con decorazioni a foglie d'olivo, si vedono sulla sinistra il leone di S. Marco e sulla destra un agnello con la croce sul dorso.
L'interno, che prende luce da finestre con vetrate a vivaci colori, è a tre navate. Quella centrale consta di cinque campate (la prima delle quali, entrando, più piccola) con volte a crociera. I capitelli e le basi dei pilastri non hanno decorazioni. La finestra del presbiterio, ad archi trilobati, è certamente di stile gotico. I quattro affreschi superstiti che si vedono oggi nella chiesa di S. Marco costituiscono indubbiamente una delle principali preziosità della chiesa stessa. Essi risalgono all'epoca francescana e cioè al XIV secolo. L'affresco raffigurante la «Crocifissione», che si trova sopra la bifora del presbiterio in fondo alla navata centrale, è forse il più bello o comunque il più pregevole. Il dramma della crocifissione è reso con notevole efficacia, soprattutto nelle figure della Madonna e di San Giovanni. Il pittore volle inserire nel gruppo d'elle persone ai piedi della croce alcuni suoi illustri contemporanei: si vuole infatti che in almeno tre figure si debbano riconoscere Dante, Petrarca e Boccaccio.
Gli altri tre affreschi rappresentano: "L'Annunciazione", la "Dormitio Virginis" e il co­siddetto "affresco lauretano"; i primi due si trovano nelle due pareti d'angolo in fondo alla navata destra, l'altro sui pilastri a sinistra del presbiterio. Quest'ultimo affresco, che è il più piccolo, sarebbe opera di un allievo diretto di Giotto: rappresenta la traslazione della Santa Casa.
CHIESA DI S. FLORIANO — Questa chiesa nel XV secolo aveva subito un mutamento sostanziale. Nel 1200 (allora era intitolata a San Giorgio) era a croce greca e con una cupola quadrata all'incrocio delle due navate; l'ingresso non era in corrispondenza della navata principale, ma di quella secondaria, in quanto il braccio principale del tempio, con l'altare maggiore, era orientato diversamente, da Est ad Ovest. Dal 1440, con l'arrivo dei padri conventuali provenienti da San Marco, la chiesa di San Floriano era officiata dai «minori», che si erano sistemati nelle casette annesse al tempio. I nuovi arrivati non avevano tardato ad apportare sensibili trasformazioni all'edificio, nell'intento di ampliare la chiesa. Non potendo prolungare le navate, dal momento che il tempio era circondato da strade, l'ignoto progettista risolse il problema «smussando» gli spigoli interni della chiesa all'incontro delle navate in modo da creare un ottagono. Nello stesso tempo i frati avevano provveduto alla costruzione del convento (le attuali scuole elementari), che prese il posto delle piccole case annesse alla chiesa.
CHIESA DI S. FRANCESCO AL MONTE — II 12 ottobre del 1490, dopo una premessa ed un'attesa di oltre vent'anni, era stata posta la prima pietra di una nuova chiesa intitolata a S. Francesco al Monte, ubicata ove è oggi il ricovero dei vecchi.
A quel tempo, secondo quanto riferiscono gli storici, gli Jesini desideravano ardentemente che anche nella nostra città ci fosse un convento di PP. Osservanti e allo scopo avevano interessato i superiori dell'Ordine francescano, giungendo poi anche a supplicare il pontefice. Per convincere gli Osservanti a stabilirsi a Jesi o nelle immediate vicinanze della città, era stato compiuto un primo tentativo il 28 ottobre del 1469. Approfittando del fatto che un legato jesino, Niccolò Colocci, doveva. recarsi a Roma per conferire con le autorità della Chiesa, i Nostri gli avevano affidato anche l'incarico di patrocinare presso papa Paolo II ed i cardinali la venuta a Jesi degli Osservanti. La supplica del messa jesino però non aveva avuto esito. Della cosa si era poi occupato il Consiglio della città, il quale, in data 12 maggio 1471, su proposta di Angelo Ghislieri, aveva deciso di inviare una delegazione direttamente al Capitolo degli Osservanti con la stessa richiesta. Ma anche il secondo tentativo non aveva avuto miglior fortuna del primo.
Si era dovuto attendere, insomma — tra viaggi, incontri, promesse e trattative — altri quindici anni prima che i francescani si dichiarassero disposti (per l'esattezza, il 4 novembre 1489) ad esaudire i voti degli Jesini. Avevano posto, però, come condizione per la loro venuta a Jesi, che fossero loro concessi la chiesa ed il convento di San Nicolò o, quanto meno, la chiesa di S. Maria delle Grazie. Essendo i primi e la seconda regolarmente occupati, era stato raggiunto alla fine un compromesso col quale il Comune di Jesi si era impegnato a concedere — come di fatto concesse — ai frati Osservanti una vasta area sulla collina a Nord di Jesi.
La chiesa di San Francesco al Monte (così chiamata per la elevata posizione del tempio rispetto alla città) aveva annesso il convento, l'una e l'altro costruiti in brevissimo tempo. Forse anche a motivo della rapidità della costruzione, la chiesa non presentava particolari pregi architettonici. Sarà abbellita nella prima metà del XVI secolo con opere di un certo valore, tra le quali il portale scolpito da Giovanni di Gabriele da Como e conservato tuttora nel museo comunale.

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