LA CITTA' SI ESPANDE
II XV secolo si avviava al tramonto con l'ennesima
controversia; questa volta gli Jesini erano in lite con il cardinale di Sant'Angelo
ed oggetto della disputa era il castello di Barbara: sebbene quest'ultimo si
fosse spontaneamente professato suddito di Jesi, la sua sudditanza veniva ora
misconosciuta dall'autorità ecclesiastica. La controversia, iniziatasi nel
1488, si protrasse per più di quattro anni e finì, come al solito, a nostro
sfavore. Di che indignati fortemente gli Jesini e non volendo alla sentenza
dare esecuzione, furono colpiti d'interdetto.
Altra
vertenza i Nostri dovettero sostenerla nel 1495 con Senigallia, ancora a motivo
dei lungamente contrastati possessi del Vaccarile e altre Ville.
Intanto nel corso del secolo la nostra città aveva
avviato un notevole processo di espansione edilizia. Vero è che la peste del
1456 e quella del 1467 avevano mietuto numerose vittime, ma già la popolazione
del pomerio era risultata superiore alle possibilità di ricezione del vecchio
perimetro cittadino. D'altra parte le famiglie più illustri ed agiate si
andavano costruendo nuovi e più spaziosi palazzi. Il centro storico era ormai
sovraffollato, oltre che per il naturale incremento demografico, anche per le
continue immigrazioni, che avevano subito una spinta decisiva nel 1450 con
l'entrata in vigore dei nuovi Statuti; infatti questi ultimi, che ponevano
praticamente fine al vassallaggio, stabilivano che chi voleva entrare a far
parte del nostro Comune poteva farlo liberamente con la sua famiglia e fosse considerato
libero, cioè non servo di alcuno. Al ripopolamento della città aveva
contribuito infine e più recentemente, sia pure in misura relativa, l'arrivo
dei Lombardi.
Nel 1476 il Consiglio generale di Jesi aveva deciso di
allargare la città nella direzione più naturale e più ovvia, ossia verso
Terravecchia, ove cinque secoli prima gli Jesini si erano rifugiati all'epoca
del terremoto e dove era stata edificata la chiesetta di S. Maria delle Grazie.
Dieci cittadini avevano ricevuto l'incarico di disegnare le strade, dividere le
varie aree fabbricabili e curare anche la vendita: un appezzamento di terra
sulla strada principale era stato quotato 15 bolognini al piede, mentre
sulle vie laterali un appezzamento ne costava dieci. Così attorno alla
chiesetta delle Grazie cominciarono a sorgere le prime case: non molte, per la
verità; anzi occorreranno parecchi decenni e disposizioni piuttosto perentorie
prima che in Terravecchia il numero dei fabbricati fosse abbastanza
considerevole. Nel 1513, ad esempio, il Comune doveva obbligare ciascun
castello del contado a costruirvi una casa a proprie spese entro il termine di
sei mesi, e poiché le case ivi sorte erano ancora poche, sempre il Comune,
nel 1524, ordinerà ad ogni privato, di città o del contado, di costruire una
casa nel borgo di Terravecchia.
Nel XV secolo anche le mura della città avevano subito
variazioni notevoli ed erano state opportunamente rafforzate. Se le autorità
dell'epoca avevano dovuto affrontare e risolvere il problema ricettivo, quello
dell'edilizia militare era motivo di viva preoccupazione per la costante
minaccia di guerre e di aggressioni. Nel 1465 — come si è già detto — un tratto
delle mura cittadine sul versante Sud-Est era stato spostato più a valle per
includere entro la cinta il borgo San Pietro e la preziosa sorgente d'acqua che
si trovava in quel borgo. Cinque anni dopo analogo spostamento, sempre verso
l'esterno, era stato operato sul versante opposto della città, ove era stata
aperta la nuova porta S. Floriano, così come risulta oggi porta Garibaldi.
Nel 1488 l'architetto Baccio Pontelli, su incarico del
pontefice, provvedeva a ricostruire la rocca ed il fossato a ponente delle mura
cittadine. Nell'occasione, veniva aperta la porta del Montirozzo, che venne
chiamata Porta Marina (oggi porta Bersaglieri). La rocca era il baluardo
principale a difesa della nostra città. Vi stazionava in permanenza la guardia
comunale.
La
vecchia rocca era ubicata in quello spazio che è tra il palazzo del Governo
fino al principio della discesa verso oriente a tutto quel quartiere di case
che sono da piazza Angelo Colocci alla strada stessa chiamata Costa Lombarda.
Già per due volte era stata costruita e poi distrutta, sempre in relazione a
vicende belliche. Nel 1477, a causa di molti disordini cagionati dai
cittadini che vi stazionavano, gli Jesini avevano ottenuto dal papa il
permesso di abbatterla. Dopo la sommossa ghibellina del 1486, tuttavia,
Innocenzo VIII aveva voluto che fosse ricostruita, e ne aveva affidato appunto
l'incarico a Baccio Pontelli.
A
questo punto Giovanni Annibaldi nota che, seppure in quel periodo la nostra
città fosse senza rocca, non per questo gli Jesini potevano considerarsi alla
mercé di qualsiasi aggressore. Il loro armamento, infatti, era di primordine,
naturalmente in rapporto ai tempi. Di quali armi disponevano gli Jesini verso
la fine del XV secolo? Balestre, partigiane, spingarde, mortai, archibugi, corazze,
celate ed una buona quantità di nitro e di zolfo. «Quando nel 1486 —
riferisce l'Annibaldi — un Lodovico Lozi, commissario del governatore della
Marca, chiedeva al nostro Comune 400 pedoni, 100 guastaroli, spingarde,
polvere, palle ed altri strumenti bellici ed artiglierie per drizzarle contro
Castelleone, i nostri mandarono una bombarda con 24 palle, due spingarde con 65
libbre di piombo in palle, due targoni, 400 verettoni, un barile di polvere,
quattro code di spingarda, due paia di ruote da spingarda, una cassa di
verettoni ed un sacco».
Nel
1488, dunque, si mise mano alla ricostruzione della rocca, su un punto
alquanto più elevato, nell'area cioè che oggi è occupata dal palazzo
comunale. Doveva essere un qualcosa di pregevole se a quella costruzione, oggi
scomparsa, è sopravvissuto il nome di Roccabella, dato allora ad una via del
quartiere.
CHIESE E CONVENTI
Oltre all'edilizia militare, nel '400 non poco era
stato fatto anche nel campo degli edifici sacri. In questo settore, anzi, si
erano avute e si avranno, fino ai nostri giorni, le realizzazioni, se non
sempre valide sotto il profilo artistico, certo più ricorrenti e numerose.
Abbiamo già detto della costruzione della nuova chiesa cattedrale e del
santuario di S. Maria delle Grazie. Accenneremo qui ad altre tre fra le
maggiori chiese nuove o restaurate nel XV secolo.
CHIESA DI S. MARCO — Nel 1440 i frati minori conventuali
avevano abbandonato la chiesa di S. Marco a causa delle cattive condizioni di
quel convento; ma non era stato un abbandono definitivo, nel senso che i «minori»
continuarono a possederla; infatti, due anni dopo la loro partenza (si erano
trasferiti nel convento di S. Floriano, entro le mura), avevano fatto domanda per
poterla restaurare con i beni dì San Floriano, cosa che avevano ottenuto
dopo dieci anni.
La
chiesa di S. Marco, situata sopra un ameno poggio a pochi passi dalla città, è
oggi uno dei più antichi e pregevoli monumenti jesini. Il tempio è un notevole
esempio di architettura romanica: una costruzione di concezione grandiosa, su
una superficie rettangolare di m. 15x41. Allorché vennero eseguiti i lavori di
restauro, la facciata fu sopraelevata con l'evidente proposito di conferirle
uno slancio maggiore (ancor oggi è ben visibile la linea dell'antica facciata,
abbastanza evidente nelle linee di sutura fra il vecchio ed il nuovo muro). Di
chiaro stile romanico sono il portale, il rosone (con decorazioni in cotto) ed
il cornicione sorretto da archetti intrecciati. La porta che si apre sulla
facciata occidentale è composta di marmo statuario, cipollino o grechetto e di
breccia veronese; a spalle oblique con quattro colonne sottili a spire ed a
trecce uguali tra loro in altezza e diametro, collocate in prospettiva, che
sostengono archivolti analoghi e paralleli a quelli dei pilastrini. Nel
bellissimo portale, con decorazioni a foglie d'olivo, si vedono sulla sinistra
il leone di S. Marco e sulla destra un agnello con la croce sul dorso.
L'interno, che prende luce da finestre con vetrate a
vivaci colori, è a tre navate. Quella centrale consta di cinque campate (la
prima delle quali, entrando, più piccola) con volte a crociera. I capitelli e
le basi dei pilastri non hanno decorazioni. La finestra del presbiterio, ad
archi trilobati, è certamente di stile gotico. I quattro affreschi superstiti
che si vedono oggi nella chiesa di S. Marco costituiscono indubbiamente una
delle principali preziosità della chiesa stessa. Essi risalgono all'epoca
francescana e cioè al XIV secolo. L'affresco raffigurante la «Crocifissione»,
che si trova sopra la bifora del presbiterio in fondo alla navata centrale, è
forse il più bello o comunque il più pregevole. Il dramma della crocifissione è
reso con notevole efficacia, soprattutto nelle figure della Madonna e di San Giovanni.
Il pittore volle inserire nel gruppo d'elle persone ai piedi della croce alcuni
suoi illustri contemporanei: si vuole infatti che in almeno tre figure si
debbano riconoscere Dante, Petrarca e Boccaccio.
Gli
altri tre affreschi rappresentano: "L'Annunciazione", la
"Dormitio Virginis" e il cosiddetto "affresco lauretano";
i primi due si trovano nelle due pareti d'angolo in fondo alla navata destra,
l'altro sui pilastri a sinistra del presbiterio. Quest'ultimo affresco, che è
il più piccolo, sarebbe opera di un allievo diretto di Giotto: rappresenta la
traslazione della Santa Casa.
CHIESA DI S. FLORIANO — Questa chiesa nel XV secolo
aveva subito un mutamento sostanziale. Nel 1200 (allora era intitolata a San
Giorgio) era a croce greca e con una cupola quadrata all'incrocio delle due
navate; l'ingresso non era in corrispondenza della navata principale, ma di
quella secondaria, in quanto il braccio principale del tempio, con l'altare
maggiore, era orientato diversamente, da Est ad Ovest. Dal 1440, con l'arrivo
dei padri conventuali provenienti da San Marco, la chiesa di San Floriano era
officiata dai «minori», che si erano sistemati nelle casette annesse al tempio.
I nuovi arrivati non avevano tardato ad apportare sensibili trasformazioni all'edificio,
nell'intento di ampliare la chiesa. Non potendo prolungare le navate, dal
momento che il tempio era circondato da strade, l'ignoto progettista risolse il
problema «smussando» gli spigoli interni della chiesa all'incontro delle navate
in modo da creare un ottagono. Nello stesso tempo i frati avevano provveduto
alla costruzione del convento (le attuali scuole elementari), che prese il
posto delle piccole case annesse alla chiesa.
CHIESA DI S. FRANCESCO AL MONTE — II 12 ottobre del
1490, dopo una premessa ed un'attesa di oltre vent'anni, era stata posta la
prima pietra di una nuova chiesa intitolata a S. Francesco al Monte, ubicata
ove è oggi il ricovero dei vecchi.
A
quel tempo, secondo quanto riferiscono gli storici, gli Jesini desideravano ardentemente
che anche nella nostra città ci fosse un convento di PP. Osservanti e allo
scopo avevano interessato i superiori dell'Ordine francescano, giungendo poi
anche a supplicare il pontefice. Per convincere gli Osservanti a stabilirsi a
Jesi o nelle immediate vicinanze della città, era stato compiuto un primo tentativo
il 28 ottobre del 1469. Approfittando del fatto che un legato jesino, Niccolò
Colocci, doveva. recarsi a Roma per conferire con le autorità della Chiesa, i
Nostri gli avevano affidato anche l'incarico di patrocinare presso papa Paolo II
ed i cardinali la venuta a Jesi degli Osservanti. La supplica del messa jesino
però non aveva avuto esito. Della cosa si era poi occupato il Consiglio della
città, il quale, in data 12 maggio 1471, su proposta di Angelo Ghislieri, aveva
deciso di inviare una delegazione direttamente al Capitolo degli Osservanti con
la stessa richiesta. Ma anche il secondo tentativo non aveva avuto miglior
fortuna del primo.
Si
era dovuto attendere, insomma — tra viaggi, incontri, promesse e trattative —
altri quindici anni prima che i francescani si dichiarassero disposti (per
l'esattezza, il 4 novembre 1489) ad esaudire i voti degli Jesini. Avevano
posto, però, come condizione per la loro venuta a Jesi, che fossero loro
concessi la chiesa ed il convento di San Nicolò o, quanto meno, la chiesa di S.
Maria delle Grazie. Essendo i primi e la seconda regolarmente occupati, era
stato raggiunto alla fine un compromesso col quale il Comune di Jesi si era
impegnato a concedere — come di fatto concesse — ai frati Osservanti una vasta
area sulla collina a Nord di Jesi.
La chiesa di San Francesco al Monte (così chiamata
per la elevata posizione del tempio rispetto alla città) aveva annesso il
convento, l'una e l'altro costruiti in brevissimo tempo. Forse anche a motivo
della rapidità della costruzione, la chiesa non presentava particolari pregi
architettonici. Sarà abbellita nella prima metà del XVI secolo con opere di un
certo valore, tra le quali il portale scolpito da Giovanni di Gabriele da Como
e conservato tuttora nel museo comunale.
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